SANTA LUCIA


Nato nel 1970 come quartiere dedicato agli alloggi popolari, il Quartiere Santa Lucia, periferia di Gela, estremo sud della Sicilia, è diventato negli ultimi dieci anni simbolo di rinascita per una città che ha tanto faticato a scrollarsi di dosso l’appellativo di “Mafiaville”, coniato negli anni Novanta per raccontare gli anni di piombo della guerra di mafia che fece decine di vittime. È proprio in quegli anni, infatti, che il quartiere venne battezzato “Bronx”, la culla dei “baby killer” della Stidda e la piazza di spaccio più grande del territorio. Oggi, nel 2022, le cicatrici di quel periodo sono ancora molto evidenti. Il quartiere è per certi versi ancora terra di nessuno. Ma qualcosa sta cambiando in chi ci vive. Ma per comprendere bene quello che è stato il “Bronx”, bisogna viverlo dal di dentro. Andare oltre l’apparenza, fatta di stereotipi e pregiudizi, per scoprirne la reale trasformazione. Come la polvere nascosta sotto il tappeto, un intero quartiere di alloggi popolari è stato dimenticato dietro i cumuli di rifiuti che spesso giacciono abbandonati per mesi, forse perché case distrutte, topi per strada e degrado mal si conciliano con la retorica della città turistica che da qualche anno Gela prova a raccontare senza molto successo. Le povertà in cui naviga questa parte di città, purtroppo, sono ancora tante. Cittadini con eguale dignità, con diritti e doveri, vivono abbandonati in un degrado ambientale e sociale che è sotto gli occhi di tutti ma che nessuno si ferma ad osservare.L’abbandono edilizio, ambientale e culturale prolungato negli anni ha finito con lo smembrare il tessuto sociale. Le attese e le speranze si sono pian piano trasformate in rancore e le promesse delle varie classi politiche che nel quartiere hanno venduto sogni durante le campagne elettorali, sono diventate miraggi un momento dopo il voto. Le palazzine invece continuano ad esistere e soprattutto esistono i loro abitanti, la maggior parte dei quali anziani e fragili, che ogni giorno lottano con le unghie e con i denti per riportare se non un po’ di bellezza almeno un briciolo di dignità in quelle che si ostinano a chiamare case.

Testo di Jerry Italia

Pubblicato su IlReportage

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