PRIMA RÀMA


Ho iniziato a fotografare mio nonno il giorno in cui mi sono resa conto che lui non fosse immortale. Avevo diciannove anni, volevo solo creare dei ricordi: mi sono ritrovata ad aprire molti cassetti della mia memoria. Nonostante e grazie alla sua cecità lui non si sentiva spaventato dalla macchina fotografica. Aveva totale fiducia in me e nel mio punto di vista, consapevole del fatto che avrei raccontato la verità, almeno la nostra. La fotografia ci diede così l'opportunità di essere coinvolti nello stesso progetto:si sentiva talmente preso da suggerirmi situazioni da fotografare al fine da raccontare meglio la nostra storia.  Le mani sono un’importante parte del progetto: mani lisce e delicate di un professore. Le mani sono stati i suoi occhi, avendo vissuto autonomamente in vent'anni di quasi piena cecità. Da piccola avevo l’abitudine di restare li a fissarle e ad accarezzarle. Dal portare avanti una ricerca sulle origini familiari è venuta a galla l’esigenza di far pace anche con la città che ci aveva visti nascere e crescere. Dovevo scoprirla, addentrarmi in ogni suo vicolo nonostante l’odio covato per anni nei confronti di una raffineria di petrolio che l’ha devastata, ambientalmente e socialmente, inquinando ed uccidendo. Volevo riscrivere la narrativa, cercare la poesia, la magia, che la natura continua a portare con sè. Ciò che ne risulta, è un viaggio nella nostra memoria condivisa, nella calda luce del giorno e nella fredda luce della notte.

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Santa lucia